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Il fascino delle abitazioni berbere

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Siamo in Africa, per scoprire come vivono i Tuareg, un popolo berbero di oltre mezzo milione di persone, tradizionalmente nomade e stanziato nelle zone desertiche del Sahara. La presenza è ben estesa in molte nazioni del Nord e dell'Africa centrale tra cui Algeria, Libia, Mali e Burkina Faso. Ma i Tuareg non si definisco tali, bensì come Kel Tamahaq, ovvero "coloro che parlano la lingua Tamahaq". La storia di questa popolazione affonda le radici in un passato molto lontano, tanto da non essere possibile risalire a una precisa origine. Da sempre conosciuti per la loro abilità di sopravvivere in gruppi sociali numerosi nonostante l'ambiente desertico, per secoli i Tuareg hanno vissuto con l'allevamento e il commercio di animali quali pecore, capre, dromedari; in merito a questi ultimi, sono stati i primi ad utilizzarli per le lunghe traversate sahariane grazie alla corporatura robusta e resistente a calore e siccità. Oggi, nomadi e dromedari vivono quasi in simbiosi.

Ma nonostante questo legame dettato dalla reciproca sopravvivenza, ai dromedari non è concesso varcare la soglia di una tenda, poiché questo privilegio è riservato a un solo animale: il cane di razza Azawakh, fedele compagno nella caccia nel deserto. Classificato come levriero africano, questo straordinario cane è in grado di scorgere un movimento a tre chilometri di distanza, per poi lanciarsi all'inseguimento della preda (lepri e gazzelle soprattutto), fino a raggiungere la velocità di 40 km orari. L'azawakh è un cane molto difficile da conquistare e addestrare, quindi richiede un'attenzione continua e un rapporto basato anche sulla fermezza e sulla disciplina; ma quando il legame si rinsalda, fra uomo e cane scatta una vera e propria amicizia. I Tuareg hanno immenso rispetto per questi compagni di vita e solo a loro consentono di condividere cibo e dimora.

Chiamati anche "uomini blu" e celebrati anche da film leggendari come "Il té nel deserto" (Bertolucci, 1990), si riconoscono dal taguelsmut, il tipico turbante che ricopre il viso lasciando liberi solo gli occhi, per difendersi dalle altissime temperature delle zone desertiche. Tale turbante è solitamente color indaco, ma la tinta può variare anche in funzione della classe sociale: blu per i nobili, nero per le persone comune, bianco (in passato) per gli schiavi.

La tenda nera come abitazione è utilizzata ancora oggi da un centinaio di tribù, ed è composta da teli in lana di capra, una fibra che per la sua resistenza e la sua lunghezza è ideale per questo impiego. Il colore nero è scelto per motivi pratici: un telo nero dà più ombra, dunque ripara meglio dall'intensa luce del sole tropicale e sud-tropicale; essendo poi a maglia non molto stretta, questi teli isolano anche molto bene dal caldo. Il continuo scambio d'aria tra interno ed esterno, che ha luogo durante il giorno attraverso le fibre, fa sì che dentro le tende nere la temperatura resti molto inferiore a quella esterna. Di notte - o quando piove - i teli s'inumidiscono e si restringono, così non si disperde il calore che si forma dentro la tenda mentre la lana di capra con cui i teli sono intessuti, che è piuttosto grassa, basta a respingere l'acqua delle brevi piogge.

La struttura della tenda è formata da pali centrali che determinano l'altezza maggiore, poco superiore a quella di un uomo; i pali laterali segnano l'altezza minima; la chiusura è un telo rettangolare formato da molte strisce di stoffa di lana di capra cucite fra loro. I bordi dei tessuti si prolungano ai lati come tiranti e vengono bloccati al suolo con i picchetti. All'interno si usano come pavimento diversi strati di tappeti tessuti in lana. Come giaciglio, cuscini e letti tessili rialzati da terra e rivestiti a loro volta di teli; come oggettistica e stoviglie: contenitori in metallo o in fibre intrecciate, mentre il tè si serve in piccoli bicchieri di vetro o di argento.

Internamente, la tenda è divisa in due grandi locali: uno più ampio, per le donne e i bambini, l'altro meno ampio destinato agli uomini. Ci piace sottolineare come la figura femminile abbia estrema importanza nella popolazione Tuareg: oltre a godere di grande libertà, sono proprio le donne a custodire e gestire gli averi di famiglia, ed è a loro che spetta il diritto di divorzio.

Uno dei riti che si celebrano anche come segno di ospitalità, è la preparazione de tè, una cerimonia con cui i Tuareg augurano buoni auspici ai loro ospiti o, in alternativa, ai viaggiatori che incontrano sulla loro strada. Secondo la tradizione la cerimonia del tè serve per avvicinare le culture distanti, per rilassarsi dopo le fatiche del deserto e per stringere amicizie e alleanze. Ogni degustazione è dettata da tre portate di tè: il primo amaro, il secondo agrodolce, il terzo dolce e saporito. Insieme, queste bevande rappresentano i cicli dell'esistenza: morte, vita e amore.

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